Sul sito dell’Accademia della Forza, è stato di recente pubblicato un articolo di Ado Gruzza dal titolo
“Ipertrofia funzionale 2012 “.
[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]L’autore, nelle premesse, precisa trattarsi di un compendio di osservazioni riepilogate in “tredici punti anticonvenzionali” sull’ipertrofia, scaturiti dagli ultimi anni della sua appassionata attività di allenatore.
Essendo Gruzza un tecnico di powerlifting, oltre che arbitro e Consigliere della FIPL, il tema dell’ipertrofia viene sviluppato con risvolti peculiari tipici del settore di appartenenza; dunque preminentemente sviluppo di massa magra e conseguenti modalità per trarre da esso vantaggio immediato nell’allenamento – agonistico e non – di sport prestazionali , quali appunto il Pl.
Come era facile immaginare, l’argomento non del tutto usuale al mondo della pesistica competitiva ha toccato punti sensibili e forse un nervo scoperto, quello dello sviluppo ipertrofico ottimale, suscitando l’indubbio interesse, un vasto apprezzamento ma pure critiche di malcelata intolleranza negli ambienti esterni: tra tutti, quelli del body building e del fitness atletico che, sia pur solo a livello squisitamente teorico, hanno sempre considerato taluni aspetti toccati da Ado come un monopolio della propria competenza.
Su alcune board tematiche, una in particolare, le critiche - di per se utili e costruttive - hanno in realtà assunto toni astiosi e maleducati di futile polemica fine a se stessa o di becera denigrazione per partito preso, quasi che Gruzza avesse preteso, con un semplice articolo scritto per giunta con stile discorsivo ed affatto ieratico, sottrarre ad altri meriti e prerogative dati tacitamente per acquisiti, consolidatisi in anni di incontestato predominio e, peraltro, tutti da dimostrare a livello scientifico.
Pare quasi superfluo ribadire che il nostro Ado non avesse mire in tal senso: non intendeva conquistare alla propria causa una pletora di bodybuilders insoddisfatti, meno ancora cercava di sottrarre lucrosa clientela ai personal trainer del fitness, neppure si sognava di contestare la specificità del bb nello sviluppo ipertrofico, purchè beninteso contestualizzato all’aspetto della preparazione per eventi competitivi di quel settore.
Vediamo ora, succintamente, cosa afferma Gruzza in una rapida carrellata su quei famosi 13 punti, che costituiscono il cardine della sua analisi in merito all’ipertrofia funzionale nel powerlifting - così come da lui non casualmente definita - e che tanto scalpore hanno suscitato.
N.B):
a partire dai capoversi che seguono, il virgolettato riporta le frasi dell’articolo in argomento. Primariamente, Ado osserva come l’ipertrofia nel PL sia “in teoria un evento secondario non ricercato direttamente…” ma che in realtà “l’allenamento per il powerlifting è ottimale solo se produce effetti ipertrofici ottimali”.
Prosegue affermando che “l’ipertrofia è un evento di adattamento per cui risponde primariamente ad uno stimolo” dal che “….senza farla tanto lunga: ogni stimolo che richiede un incremento di forza genera una risposta ipertrofica”.
Soggiunge anche che “l’evento di forza deve essere sufficientemente duraturo nel tempo; non basta un impulso come l’appoggio del piede in un salto in alto. Deve durare qualcosa di molto vicino a poco più di un secondo….e oltre, però non troppo oltre….” concede tuttavia che, malgrado il punto di cui sopra, “l’evento di forza può essere….più breve di quanto si pensi” ricordando come, in base alle letture da lui effettuate, i pesisti che praticavano la distensione olimpica prima della sua soppressione (
da Monaco ’72 – n.d. r.) “…facessero allenamenti molto specifici e molto votati alle basse ripetizioni con elevati carichi…” e “....malgrado gli sforzi fossero nell’arco di una/tre ripetizioni, questo TUT era sufficiente ad ottimizzare l’ipertrofia”.
Gruzza deduce quindi il seguente concetto: “Producete uno stimolo che costringa il vostro corpo a spingere o tirare qualcosa di importante e questo per reazione crescerà. Il resto è tutto discutibile”.
In un punto successivo, Ado distingue diversi tipi di ipertrofia, introducendo perciò la questione su cui s’incentra il nodo cruciale del dibattito: il concetto di funzionalità dell’ipertrofia, che è tale perché perseguita in funzione di qualcosa che ci interessa e riguarda da vicino.
Tra i vari esempi di sviluppo ipertrofico, Gruzza precede un articolo del sottoscritto di prossima pubblicazione su AIF ma già apparso nella presente sezione di questo forum ( Perché esistono le categorie di peso), rammentando una comparazione quasi analoga alla mia e tipica nel mondo dell’Atletica Leggera: “il lanciatore del peso è più grosso del lanciatore del martello, che è più grosso del 100metrista, che è più grosso del 400ista, che è più grosso dell’800ista e così via, a parte casi sporadici…” .
Insomma ognuno – è il mio pensiero – ha un’ipertrofia adeguata, ottimale e funzionale all’attività che esercita ed allo scopo che si prefigge di portare a compimento. Ado, dal canto suo, conferma asserendo come “gli atleti che devono svolgere eventi che richiedono forza sono più grossi in relazione alla quantità di forza richiesta dall’evento”.
Al punto 9), Gruzza sottolinea che “l’ipertrofia ha molto a che fare con il lavoro…non basta sollevare carichi importanti, occorre dedicarci parecchio tempo durante la settimana…l’ipertrofia è un adattamento ad uno stimolo esterno. I calli vi vengono se zappate tutti i giorni, non se lo fate solo alla domenica, perché è la nuova moda funzionale del 2012 primavera/estate”.
Con l’ironia della frase sopra riportata, è evidente il riferimento all’usanza prevalente in taluni sistemi di allenamento (tuttora in voga nelle palestre) di frapporre troppa distanza, quindi poca frequenza, tra sessioni di allenamento incidenti su i medesimi gruppi muscolari ( es. petto/bicipiti il lunedì, cosce/gambe/spalle il mercoledì, dorso/tricipiti il venerdì, con la ripetizione della prima seduta la settimana successiva).
E’ inoltre comprensibile come tra atleti natural e non natural vi siano risposte ormonali del tutto diverse. Pertanto, l’autore ritiene che occorra “limitare il lavoro lattacido a favore dell’intensità (
che precisa essere concepita non in termini di soli carichi ma di tensione – n.d.r.) e della frequenza…perché la perdita muscolare è il problema primario del natural…” ; a tal proposito, racconta Ado di aver allenato “…gente che aveva assunto sostanze una decina di anni fa e ancora aveva un certo vantaggio rispetto a chi partiva da zero”.
Scorrendo a volo di rondine gli altri punti, Gruzza riassume che “…la risposta anabolica nel natural è estremamente legata al benessere del corpo”, per cui raccomanda “dovete allenarvi tantissimo ma non facendo allenamenti che vi mandino in acido, come si dice in questi casi. Il corpo per crescere deve stare bene. L’alimentazione deve essere sana, senza maniacalità ne eccessi, l’allenamento deve essere tanto e costante”.
Infine termina la prima parte dell’articolo traendo le seguenti conclusioni: “Non ho mai e dico mai…visto qualcuno di natural proveniente dal bodybuilding di qualunque natura e forma (dal Weider ai metodi infrequenti) essere passato al metodo distribuito tecnico (cioè lavoro tecnico, frequenza elevata sui multiarticolari e volume) tipico della pesistica e applicato ai 3 big e non aver migliorato la composizione corporea. Questa è la mia esperienza di giovane coach e tantissimi la possono testimoniare. Come tutte le semplici esperienze vale per quel che vale; però è!”.
A questa prima parte ne segue una seconda, con un’ulteriore appendice dedicata agli schemi pratici di allenamento.
Non mi soffermo su queste due parti, poiché rientrano nelle concezioni personali di un tecnico e nelle soggettive scelte di applicazione sulla base di valutazioni individuali e risorse umane disponibili, che travalicano l’aspetto concettuale sopra affrontato che, non a caso, è quello che ha suscitato tanto interesse e clamore.
Mi concentro invece sul tema principale dell’ipertrofia funzionale trattata da Gruzza e sulle eventuali obiezioni e critiche ricevute.
In sostanza mi domando: cosa avrebbe mai detto di strano o di eretico Ado? Fondamentalmente nulla - come del resto è ben chiaro al pubblico attento, composto, appassionato e competente di questa ed altre boards tematiche - ma, in ultima essenza, il messaggio andrebbe decifrato con la chiave di lettura che mi accingo ad esporre.
Aldilà di chi pratica il bodybulding come finalità agonistica, l’allenamento sui grandi multiarticolari e sulle catene cinetiche, con le metodologie variamente previste in pesistica - intendendo il termine nell’accezione più ampia, comprendente tanto il Wl quanto il Pl - non è solo utile a specializzare i gesti motori di tali discipline ma è altresì basilare per lo sviluppo ipertrofico ottimale di chi le pratica, tanto a livello agonistico quanto amatoriale nonché per chi intenda creare adattamenti trofici e miglioramenti sulla composizione corporea, che non portino alle masse esasperate del bb d’elite ma che, tuttavia, risultino - soprattutto nel caso di atleti natural - evidenti e, al tempo stesso, perfino più efficaci nell’intrapresa di qualsivoglia sport prestazionale.
Non si può dunque concordare con Ado su questo postulato? Sinceramente ed aldilà dei singoli protocolli attuativi di allenamento, che ciascun coach può poi adottare ed adeguare alla bisogna, dal canto mio direi proprio di si.
Scendiamo nel dettaglio e facciamo qualche esempio.
Un giocatore di rugby può migliorare ed affinare il gioco del rugby solo sul campo con i compagni di squadra; un lanciatore di peso può lavorare sulla dinamica del lancio esclusivamente dalla pedana del campo di atletica; un lottatore è in grado di raggiungere la performance solo nel contatto/confronto con l’avversario o il trainer. Eppure, tutte le tipologie di atleti descritte, poiché il loro sport si fonda su un’opposizione ad una resistenza di forza, abbisognano di un lavoro propedeutico in palestra, in termini di ipertrofia e forza, cui far seguire il logico transfert sul terreno pratico della propria disciplina.
Bene, ferme restando le tipicità delle diverse esercitazioni, non è forse per tutti costoro maggiormente “funzionale” all’obiettivo preposto un incremento ipertrofico da perseguire con l’allenamento basato sui multi articolari, in ottica pesistica, piuttosto che in quella plastica di bb.?
Si capovolga il discorso e si osservi come il lifter non ha le corrispettive necessità: non soltanto - come è ovvio - non ha bisogno di praticare allenamenti di discipline propedeutiche alla propria ma, al contrario del bb che effettua off season il ciclo di forza per il lavoro successivo, l’allenamento specifico dei pesisti è già di per se sufficiente non solo a migliorare le specialità che compongono le discipline atletiche ma pure a produrre quegli stimoli ipertrofici funzionali - beninteso al Pl ed al WL stessi - così come, invece, non era altrimenti possibile al lanciatore, al rugbista ed al lottatore prescindere da un una congrua preparazione in palestra sui multiarticolari.
Di più: Ado sostiene che un ragazzo o un amatore che intraprenda la strada della palestra senza mire culturistiche specifiche e, quindi, senza la pretesa di sfilare su un palco sfoggiando masse, densità e proporzioni richieste a tal fine, troverà probabilmente un maggior vantaggio, pure in termini ipertrofici e soprattutto se natural, esercitandosi con l’allenamento sulle grandi catene cinetiche, secondo i sistemi generali dello strength training (e quantunque non abbia neppure mire agonistiche competitive), piuttosto che nella pratica consueta di certe esercitazioni allenanti in voga nei maggiori Centri fitness e spesso spacciati come mode, ritrovati scientifici, sistemi definitivi e dubbie scorciatoie per improbabili risultati.
E’ chiaro - e, se ancora non lo fosse, lo si ribadisce nuovamente - che trattasi di un’ipertrofia non assunta in termini assoluti dei massimi vertici del bodybuilding (non potrebbe esserlo e, francamente, non interessa) ma di un’ipertrofia funzionale e pertanto mirata a determinate funzioni e necessità, che si intende perseguire ed espletare.
In questo passaggio qualcuno potrebbe intravedere un pericoloso invito a deviare i frequentatori delle palestre da altri metodi e conseguenti possibili decrementi di clienti, lettori o seguaci.
In realtà, quella di Gruzza è una semplice proposta condivisibile o non, soprattutto sperimentale e rivolta ad un pubblico già affezionato e crescente (e forse proprio questo dato preoccupa), senza pretese di concorrenza anche perché, a differenza di altre fattispecie e personaggi, nasce da un cultore di uno sport dilettantistico che pratica, esercita, scrive e discorre per passione ed a titolo gratuito e non ha interessi commerciali o di altro tipo da salvaguardare.
Un’ultima riflessione la dedicherei ad un diverso aspetto critico mosso all’articolo di Gruzza.
Si imputa ad Ado il fatto che esso sia privo di basi scientifiche, quindi a livello troppo empirico senza studi e riferimenti comprovati ed inoltre scritto in modo eccessivamente informale e colloquiale.
Con ogni probabilità si è volutamente sorvolato su quanto lo stesso Gruzza si era premurato di avvertire sin dai preamboli, e cioè: “notate bene, queste sono mie considerazioni ed esperienze personali, di uno che ha semplicemente osservato dei fatti. Non c’è una pallosa biografia alla fine e non pretendo che questi punti siano una legge universale. Sono le riflessioni di un ragazzo che allena….una pura osservazione delle mie realtà, niente più e niente meno. Se non vi interessa fate click col mouse e continuate a leggere […]. Leggere fa sempre bene, dicono”.
E’ evidente da tali parole che non vi fosse in lui una pretesa didascalica, didattica e nessuna intenzione di elaborare un trattato che vantasse una veste forbita ed elegante.
Ad ogni buon conto è proprio questa la bontà dello scritto che lo rende accessibile a tutti, pratico nell’analisi e soprattutto originale nel percorso della disamina, senza risultare un plagio di concetti e stili di altri autori.
Personalmente, quando scrivo, risento dei miei trascorsi e di antiche reminiscenze culturali, di ciò che ho vissuto e mi ha appassionato; prediligo i riferimenti storici, alcune citazioni, il ragionamento sillogistico ed un periodare classico; perciò solitamente scrivo nella forma della saggistica gli articoli più seri ed invece del resoconto umanistico satirico quelli scherzosi: alcuni mi leggeranno con piacere, ad altri apparirò prolisso e noioso ma tant’è, sono io.
IronPaolo è un ingegnere ed ama le dimostrazioni matematico-fisiche; annovera analisi tecniche meticolose e approfondite in cui abbondano diagrammi e disegni che si accompagnano ad una prosa avvincente in cui talvolta mi supera per logorrea; le sua indubbie capacità regalano il meglio in dissertazioni scientifiche stemperate da vena ironica o durante una lezione accademica.
Il Presidente Rossi ha un ruolo eminentemente istituzionale, punta molto sulla carica emotiva che emana dai suoi discorsi a braccio o dai messaggi sul sito; crea il giusto pathos indulgendo volontariamente ad una misurata retorica, dunque eccelle nelle presentazioni delle manifestazioni, nell’eloquio a voce e nei commenti ufficiali.
EnricoPl è estremamente tecnico, concreto, diretto: emerge puntuale nella disamina di un gesto tecnico ed è inconfondibile nei commenti sul video, come pure preciso ed esauriente nei Seminari in cui ha relazionato.
Somoja è intimista e introspettivo, riesce a cogliere con pazienza e buon senso le richieste ed i problemi sportivi di neofiti e fruitori dei nostri fora e, proprio lì e tramite i diari, sa trovare la risposta o la strada per apportare il proprio prezioso contributo.
Allo stesso modo, Gruzza è aperto, schietto, calamitante; ammanta il discorso con un’impronta dialettica aggressiva; non potrebbe adottare uno stile aulico, perché non gli appartiene ma è intuitivo, sintetico nel comunicare le proprie idee e pragmatico nel giungere al punto che gli interessa, focalizzando le attenzioni di chi lo segue.
Credo che la varietà e l’unione di personalità diverse e spiccate (e mi scuso con coloro che non ho menzionato per ragioni di spazio) ma coordinate in una direzione univoca possa contribuire a creare i presupposti di una maggior diffusione del nostro sport, pur rimanendo esso un’attività amatoriale e di nicchia, riuscendo magari a rappresentare, tra non molto, una delle ragioni per cui - come già avvenuto in passato per l’Atletica Leggera, con riguardo alle discipline a prevalenza aerobica – nella ricerca di argomenti, articoli e report che concernono gli sport di forza e con i sovraccarichi, non ci si debba più limitare agli scritti ermetici e riservati dei tecnici della pesistica olimpica o alle pubblicazioni patinate e d’ultimo grido in ambito di fitness o cultura fisica ma divenga altresì possibile rintracciare scritti appassionati ma, nonostante ciò, validi e specifici nell’ambito del powerlifting nazionale, con l’augurio che possano esser poi d’aiuto e guida, risultando istruttivi eppure gradevoli a tutti coloro che vi si avvicineranno.
Giovanni D’Alessandro